Basilica di San Paolo Fuori le Mura

Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma

Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma
 

Basilica di San Paolo fuori le Mura: il Cortile

Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma
 

Basilica di San Paolo fuori le Mura: il Mosaico

Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma
 

Basilica di San Paolo fuori le Mura: il Mosaico

Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma
 

Basilica di San Paolo fuori le Mura: il Mosaico

Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma
 

Basilica di San Paolo fuori le Mura: i resti dell'antica basilica

Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma
 

Basilica di San Paolo fuori le Mura: il Cortile

Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma
 

Basilica di San Paolo fuori le Mura: il Colonnato

Basilica di San Paolo fuori le Mura: la facciata

Basilica di San Paolo fuori le Mura: il Campanile

Nel luogo ove fu deposto l' apostolo delle genti, fino dai secoli della persecuzione fu eretto un edifizio simile a quello che sorgeva sulla tomba di s. Pietro in Vaticano, e che Caio disputando contro i montanisti appella: i trofei degli apostoli. Fu probabilmente un piccolo edifizio di quella forma sepolcrale detta dagli antichi cella memoriae, che per la religiosità dei sepolcri erano immuni da ogni violazione.
Appena fu promulgata la pace della chiesa, Costantino trasformò le due cellae memoriaedegli apostoli in amplissime basiliche, come leggiamo nel Libro pontificale, ed in un sarcofago marmoreo, sul quale si legge ancora l' epigrafe costantiniana, racchiuse il corpo di s. Paolo. Della edificazione costantiniana scrive così il Libro pontificale: Fecit basilicam s. Paulo apostolo cuius corpus recondidit in arca et conclusit sicut s. Petri. Questo stato di cose durò fino all' anno 386 in cui gli augusti Valentiniano II, Teodosio ed Arcadio si accinsero a rendere più ampia la basilica dell' apostolo ed a riedificarla di pianta. Si legge ancora il famoso rescritto imperiale a Sallustio prefetto di Roma, nel quale viene al medesimo ordinata la magnifica impresa della riedificazione della basilica ostiense; durante l' opera, Valentiniano morì nel 392, onde la fabbrica fu proseguita sotto Teodosio, arcadio ed Onorio.
Un rarissimo monumento e di storica importanza, edito dal Bianchini e dal Muratori ma da loro non compreso, ci richiama eziandio al tempo della fabbricazione della basilica fatta dai tre Augusti. È una tabella di bronzo ansata e forata da ambe le parti per essere sospesa al collo d' un animale e forse d' un cane da pecoraio. La targhetta porta incisa l' iscrizione seguente:
A W
AD BASILICA APOS
TOLI PAVLI ET
DD NNN
FILICISSIMI PECOR
cioè: ad basilicam apostoli Pauli et trium dominorum nostrorum felicissimi pecorarii. Il De Rossi dimostra che questa tabelletta era appesa al collo d' un cane di guardia in un tenimento di proprietà della Basilica di s. Paolo e del suo pecoraio chiamato Felicissimo, al quale dovea esser ricondotto in caso di smarrimento. L' età poi del cimelio l' arguisce dall' appellazione di Basilica trium Dominorum nostrorum che lo riporta all' epoca della sua costruzione ordinata a Sallustio. Fra le iscrizioni più importante di questa basilica v'ha quella di cui rimangono due frammenti affissi oggi alle pareti degli ambulacri del monastero spettanti ad un tal Eusebio, ove si legge che costui, uomo altrettanto pio che dovizioso, rinnovò tutto il cimitero: forse egli qui parla di quelanno sopratterra, giacchè prosegue a dire che risarcì o fabbricò i portici aggiungendovi colonne, li adornò con pitture, rifece i tetti, i bagni adiacenti secondo il costume delle antiche basiliche, i sedili, le finestre, il pavimento, ed eziandio i cardini delle porte che munì di chiavi; inoltre riadattò ciò ce ivi si chiama INTROITVS AD MARTYRES, condusse l' acqua, fece cancelli, mense ai sepolcri dei martiri, ecc.; insomma quest' iscrizione è un prezioso registro o meglio inventario dei lavori fatti nel secolo VI alla basilica e a tutte le sue varie parti. Nel medesimo chiostro rimane l' iscrizione di quel Felice prete che insiemo con Adeodato levita ebbe da s. Leone la cura di restaurare la basilica e specialmente il tetto.
Oltre il grande monastero, molti oratorî, basiliche minori, e case si aggrupparono attorno alla basilica stessa, che divenne quasi il centro d' un borgo o villaggio cristiano, il quale, per essere situato sulle sponde del fiume, fu esposto nel periodo delle incursioni dei Saraceni ai loro saccheggi. Ma Giovanni VIII circa l' anno 880, onde provvedere alla tutela del luogo, lo fece circondare di un fortilizio; cosicchè quella borgata ebbe il titolo di Giovannipoli.
Ma torniamo alla basilica che vedemmo nel secolo V appellata Basilica trium dominorum nostrorum. Questo insigne tempio fu edificato tra il Tevere e la via Ostiense che gli correva innanzi, finchè, per le accresciute dimensioni, occupato ed intercetto quel tratto di via, nella seconda riedificazione fu dovuta tagliare una rupe che sovrastava alla sua tribuna e fra questa e quella aperto il nuovo tramite. La fronte era preceduta dal solito atrio basilicale circondato da quattro portici sostenuti da colonne, in mezzo al quale era il fonte consueto.
Le dimensioni della basilica ostiense erano maggiori di quelle dell' antica basilica vaticana. L' interno era formato da cinque fondi navi sorrette da 5k linee di venti colonne ciascuna, di vario ordine e dimensioni e di marmi diversi, perchè tolte ad edifizî preesistenti: il tetto della navata era ricoperto di bronzo dorato, e le pareti interne tappezzate di marmi. La nave di mezzo terminava coll' immenso arco trionfale che Galla Placidia sorella di Onorio avea adorno di musaici, e che era sostituito da due imponenti colonne ionie di marmo greco. Nel mezzo di quella colossale composizione spicca la figura divina e colossale di Cristo, tenente in mano la verga, simbolo della sua potestà. Ai due lati sono i quattro simboli degli evangelisti, al di sotto il ventiquattro seniori, ed all' estremità le imagini di Pietro e Paolo: sotto l' arco maggiore v' era la confessione, sotto la quale v' ha il corpo dell' apostolo deposto entro sarcofago di bronzo chiuso in altro di marmo.
In un documento vaticano dei tempi di Urbano VIII ne trovo questa sommaria descrizione:
In fronte habet quinque ianuas, quarum quatuor sunt obstructae, media patet, cum portis aeneis sexcentis fere abhinc annis sub Alexandro II papa impensa Hildebrandi de Suana monachi abatis huius monasterii qui postea ad pontificatum assumptus Gregorio VII fuit appellatus, Constantinopoli advectae.
    Ante ianuas olim erat quadriporticus satis ampla, nunc pene tota diruta, et cuius vestigia supersunt in proximo atrio, ubi bibliothecarius refert Simmacum papam impluvium ad aquas recipiendas et gradus cum aediculis ad pauperum habitacula construxisse.
    Quadriportico antiquitus adiungebatur porticus oblonga, a porta Urbis usque ad hanc basilicam pertingens, cuius adhuc vestigia et parietes supersunt.
Costantino avea a questa basilica donato immensi latifondi in Europa ed in asia, onde le sue ricchezze erano smisurate, e l' oro, l' argento, le gemme di cui abbandonava, la rendevano meravigliosa, come la descrive Prudenzio che la vide nel suo splendore ai tempi di Onorio. Nel demolirsi il campanile della basilica fu rinvenuta una quantità grandissima di monete d' argento di settanta e più zecche diverse d' Europa, tutte dei secoli X e XI, di regni e città cristiane, prodotto evidente di elemosine venute da ogni parte della cristianità.
Nell' archivio vaticano abbiamo anche il seguente documento:
Concessio ad quinquennium omnium oblationum et reddituum provenientium de maiori altari maioris ecclesiae monasterii s. Pauli de Urbe, ad Rom. eccl. nullo medio pertinentium O. S. B. in quo venerabile corpus eius s. Pauli celeberrima memoria requiescit facta favore operis mosaici incepti in facie eiusdem ecclesiae.
Nell'architrave della nave maggiore vicino all' arco trionfale incominciava la serie dei ritratti dei papi, e continuava per tutto il lungo della medesima. Arrivata al fondo, passava sul muro interiore della facciata, poi sul muro settentrionale. Ma nel secolo XVIInon rimaneva più nulla dei medaglioni del muro occidentale; la maggior parte di quelli del settentrionale erano disparsi, e solo sul muro a mezzogiorno si conservano intatti fino ai giorni nostri, perchè il grande incendio che incenerì la basilica il 17 luglio del 1823 li lasciò immuni. Nei nuovi restauri quei ritratti distaccati sono stati posti in serie nelle pareti dei corridoi del monastero: disgraziatamente quando furono staccati non si curarono le iscrizioni che li accompagnavano. I superstiti sono quarantadue, da s. Pietro ad Innocenzo I, compresovi Felice II. Non sono però propriamente ritratti, ma tipi ideali: quelli che erano nel muro settentrionale sono mantenuti in alcuni disegni di un codice barberino, dove furono eseguiti nel 1634 per ordine del card. Barberini, ma si trovano in grande disordine ed in mezzo a loro nel sesto posto di quella serie v' ha il ritratto dell' antipapa Lorenzo. Questa figura, siccome nota il De Rossi, è preziosa per stabilire la cronologia di quella insigne serie, giacchè non può essere stata posta che durante le pretese di questo antipapa, vivendo Simmaco nel secolo V; onde quei ritratti nel loro insieme debbono essere giudicati anteriori al secolo VI, e la congettura per ciò che li attribuisce a s. Leone il Grande deve essere ripudiata, perchè priva di fondamento.
Come la Basilica Vaticana, anche l' ostiense subì nel periodo delle invasioni degli Arabi la stessa sorte, ed i Saraceni vi depredarono tesori meravigliosi ai giorni di Benedetto III e di Leone IV. L' anno 937, venuto a Roma Oddone di Cluny, gli fu affidato da Alberico il governo del monastero e della basilica; ed egli fu che vi condusse altri fratelli per rialzare la scadente disciplina monastica, preponendovi Balduino di Monte Cassino. A quell' epoca s. Gregorio VII, prima di salire alla cattedra di Pietro, fu abate di quel monastero, e a lui si deve il restauro della basilica in quei tempi, in cui pure Pantalone di Amalfi la donò di porte d bronzo niellato d' argento e che furono fuse a Costantinopoli. L' incendio del 1823 distrusse anche quel monumento, ma gli avanzi si conservano nel chiostro. Dei monumenti medievali non rimane nella basilica che il candelabro marmoreo del cero pasquale, opera dei marmorari romani del secolo XII, adorno di rozzissimi bassorilievi ritraenti la storia della Passione, accompagnati dalla leggenda:EGO NICOLAVS DE ANGELO CVM PETRO BASSALECTO HOC OPVS COMPLEVI.
Nel volgere dei secoli la basilica fu ripetutamente restaurata ed adorna: e nella prima metà del secolo XIII vi fu aggiunto il magnifico chiostro, edificio bellissimo di qti Roma possegga di quella specie. L' iscrizione in musaico che gira intorno al medesimo ricorda che vi diè principio l' abate Pietro II (1193-1208) e che lo compiè Giovanni V (1208-1241).
Onorio III, fece poi coprire di musaici l' abside della basilica che Niccolò III, quando era abate di quel monastero, ridusse a compimento.
Il Terribilini riporta la seguente epigrafe che si leggeva in labro aquae lustralis:
HOC OPVS FEC. FIERI DNA STEPHANIA PRO ANIMA SVA ET IOHIS VIRI SVI SVB A . MCCCXXIX.
Il ch. don Gregorio Palmieri, dotto monaco cassinese e custode dell' archivio vaticano, ritrovò fra le carte dell' archivio medesimo un prezioso documento in ordine a quei musaici, dal quale risulta che il papa, per condurre a termine l' impresa, chiamò da Venezia operai musaicisti mandati a lui dal Doge, a cui ne avea scritto in proposito ai 23 di gennaio del 1218. Ma la storia di tanti secoli e tante opere d' arte perirono nel fatalissimo incendio del 1823, in cui bastò una sola notte per ridurre in cenere quella vasta basilica, la più insigne dopo la vaticana; e pitture, e marmi, e bronzi, e orientale, e musaici, tutto perì miserabilmente: ma da quelle ruine l' hanno ormai fatta risorgere a maggiore magnificenza Leone XII ed i suoi successori.

Testo tratto da: Descrizione delle Pitture, Sculture e Architetture esposte in Roma di Filippo Titi stampato da Marco Pagliarini in Roma MDCCLXIII
Il testo è nel dominio pubblico.

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